tutela della mamma lavoratrice

La disciplina della tutela della lavoratrice madre

A seguito della più recente evoluzione normativa

La tutela prevista per lavoratrice madre è frutto di una lunga evoluzione normativa caratterizzata dalla finalità protezionistica sancita dall’art. 37 della Costituzione, all’art. 37. A partire da tale norma, la tutela delle lavoratrici madri è  stata attuata dalla Legge 1204/1971, integrata successivamente dalla Legge n. 903 del 1977 e dalla Legge 53/2000. La materia in esame, poi, è stata

ridisegnata in una logica paritaria dal D.Lgs. 151/2001, contenente il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, modificato e integrato con il D.Lgs. 115/2003 ha raccolto e riordinato il complesso delle disposizioni vigenti in materia, nonché alcune norme della Legge n. 903 del 1977 in tema di parità di trattamento tra uomo e donna.

Infine, la normativa a protezione delle lavoratrici madri è stata oggetto di ulteriori modifiche a seguito dell’introduzione, dapprima, della legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro (cd. riforma Fornero), e, più di recente, dei decreti attuativi del c.d. Jobs Act (legge delega n. 183 del 2014).

Oggi la legge tutela la lavoratrice madre nelle diverse fasi della gravidanza e dei primi anni di vita del bambino.

In primo luogo, la salute della lavoratrice è tutelata vietando che la stessa venga adibita, dall'inizio della gravidanza e fino al settimo mese di età del figlio, a lavori pericolosi e, fino al primo anno di età del bambino, al lavoro notturno (dalle 24 alle 6).

La madre lavoratrice (o per il padre, in casi specifici) può inoltre astenersi dall'attività lavorativa in determinati periodi della gravidanza e dei primi mesi di vita del figlio.

In particolare è previsto il congedo di maternità obbligatorio per la lavoratrice da due mesi prima la data presunta del parto, sino a tre mesi dopo. E’ anche prevista, a fronte di certe condizioni di salute della lavoratrice, la possibilità di astenersi dal lavoro in un momento antecedente i due mesi precedenti la data presunta del parto oppure il mese precedente la data presunta del parto ed i quattro mesi successivi.

Tale diritto spetta anche al lavoratore padre (cd. “congedo di paternità”) a determinate condizioni previste dalla legge. Esso è stato di recente ampliato, in via sperimentale, per effetto della legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro e della legge 208/2015.

Nei primi dodici anni di vita del figlio, i genitori lavoratori possono astenersi dall'attività lavorativa per un totale di 10 mesi, frazionati o continuativi.

Ciascun genitore può usufruire del congedo parentale per un massimo di 6 mesi. Per i primi 6 anni di vita del bambino, nei periodi in cui godono di questo congedo, le lavoratrici e i lavoratori hanno diritto a una indennità pari al 30% della retribuzione.

La riforma del 2012 ha poi previsto che, al termine del periodo di congedo di maternità, la lavoratrice madre possa sostituire il congedo parentale con un voucher per l’acquisto di servizi di baby sitting ovvero per sostenere gli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, per un massimo di sei mesi.

Ai lavoratori genitori è altresì riconosciuta la facoltà di chiedere, per una sola volta, in alternativa al congedo parentale, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale (part-time), con il solo limite che la riduzione di orario non potrà essere superiore al 50%.

Nel corso della vita del figlio, i genitori lavoratori hanno poi diritto a riposi retribuiti e congedi non retribuiti per le malattie del figlio.

La legge, infine, garantisce la conservazione del posto di lavoro per la lavoratrice madre, o il lavoratore padre che abbia usufruito di congedi, attraverso il divieto di licenziamento dall’inizio della gravidanza sino al compimento di un anno di età del figlio, l’obbligo di convalida da parte del servizio ispettivo del Ministero del lavoro delle dimissioni presentate durante i primi tre anni di vita del bambino, nonché il diritto a conservare il proprio posto di lavoro e a rientrare nella stessa unità produttiva cui era adibita precedentemente, con le stesse mansioni.

Il licenziamento intimato in violazione delle disposizioni legislative in materia di tutela della maternità e della paternità è nullo e comporta l’ordine di reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro, la condanna al risarcimento del danno, nella misura della retribuzione maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto solo quanto percepito attraverso un eventuale altra occupazione (l’indennità non può comunque essere inferiore alle cinque mensilità); il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali per tutto il periodo intercorso fra il licenziamento a quello della reintegrazione. In ogni caso la lavoratrice può scegliere, in luogo della reintegra, il pagamento di un’indennità pari a quindici mensilità.

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